“Un allievo dice al Maestro: «Come faccio a prepararmi alla vita?» Il Maestro gli risponde: «Preparati alla morte» Allora l’allievo replica: «E come faccio a prepararmi alla morte?» Il Maestro risponde: «Preparati alla vita»”
Anonimo
In India Shiva è la divinità protettrice dello yoga e si manifesta in molteplici aspetti.
Uno di questi è Sadhu Shiva mentre medita nei luoghi di cremazione, nudo e coperto di cenere, simbolo di morte e di rigenerazione.
Questa immagine della divinità rappresenta la giusta attitudine che dovrebbe avere uno yogi: lo yoga è una via di liberazione dalla morte con cui ognuno dovrebbe confrontarsi.
La cultura Induista
Nella cultura induista, la fine della vita equivale con la liberazione, un traguardo verso l’illuminazione.
La morte significa dunque liberazione dal ciclo doloroso delle rinascite.
In questa visione lo yoga è il cammino verso l’illuminazione, per sconfiggere la morte per scongiurare un’altra rinascita.
«Non c’è miglior amico della morte: è il grande supremo amico. Il grande amico ci aspetta alla porta: ricorda questo e tutto il resto sarà semplice e facile».
Vimala Thakar
La cultura occidentale
La cultura occidentale ha iniziato già da inizio 900 una vera lotta alla morte, proponendo una visione del corpo come una “macchina” che può essere sempre riparata grazie alla scienza, fino ad arrivare agli eccessi dell’accanimento terapeutico.
Accade così che perfino la pratica dello yoga diventa solo un’esaltazione del corpo per scongiurare la decadenza del corpo, per sconfiggere il passare del tempo, la vecchiaia, che ci ricorda la morte.
La strada dello Yoga
La morte diventa tragica soprattutto quando mette a nudo le contraddizioni che non si sono sapute risolvere durante la vita. Chi non ha fatto i conti con il proprio vivere, chi ha tralasciato di dare tempo alla riflessione non può che essere spaventato davanti al pensiero della morte e davanti al morire concreto di una persona cara.
Lo yoga, quello che non rinnega l’immagine di Sadhu Shiva, può essere di grande aiuto, perché ci abitua all’ascolto, all’essere presenti, esercitando la nostra sensibilità. Già praticando con consapevolezza la semplice Savasana, la Posizione del Cadavere, se vissuta non solo come momento di riposo, di rilassamento ma anche come prefigurazione di un abbandono fiducioso, può aiutarci nella consapevolezza. Assieme al respiro, la sua sospensione e la consapevolezza che ci offre l’esperienza della meditazione. Inizia la pratica con una prostrazione alla terra a cui torneremo o con l’accendere un incenso per ricordare la catena dei nostri antenati di cui noi siamo un anello.
Sono tutti piccoli gesti nella pratica che aprono la nostra coscienza a una dimensione più vasta, libera dalla paura, accoglienti verso la morte.